Il mercato dei vini cambia, il rosato resiste

Il mondo dei rosati merita una riflessione a parte, eccola

di Chiara Giorleo

Il mercato dei vini cambia, il rosato resiste

Si fa un gran parlare del calo di consumi di vino in queste ultime settimane. Affidandosi alle stime dell’IWSR, ai report del Financial Times e non solo rimbalzano dati e stime secondo cui il cambiamento climatico, la sempre crescente attenzione alla salute e alla riduzione del consumo di alcool in generale, l’affermazione di altri prodotti e bevande – inclusi i prodotti “low/zero alcohol” con relative campagne antialcol -, stanno portando alla riduzione dei consumi globali soprattutto tra i giovani.

Cosa c’entra questo con i rosati? Due considerazioni importanti. La prima è che rosati (e bianchi) rispondono meglio ad alcune di queste “nuove esigenze” se così vogliamo chiamarle: più freschi, meno alcolici, tendenzialmente più leggeri. Più specificamente, il Financial Times scrive di una speciale resilienza proprio dei rosé, numeri alla mano.

Non solo, come si racconta dettagliatamente su TheDrinksBusiness.com, ci sono alti e bassi che potrebbero essere anche (solo?) segni di un assestamento per una categoria che continua ad avere molto più successo delle altre in un mercato che, attenzione, decresce per numeri, non per valore. Quello che dobbiamo tenere d’occhio è come e quando i marchi più importanti, e comunque le aziende in generale, si adegueranno alle fluttuazioni di mercato che non mancheranno mai, nemmeno per i rosati appunto.

La seconda, ancora più importante, riguarda specialmente l’Italia: il vino rosato non è una moda; meglio ancora: non è frutto di una moda, c’era già e molto prima dell’inizio del ventunesimo secolo. Vero, un trend mondiale si è fatto largo nel nuovo millennio a supporto dell’immagine e delle vendite ma non si tratta di un fenomeno destinato a scomparire, anzi!

Con il successo sui mercati, in particolare quello USA, si è inevitabilmente arrivati ad una saturazione ma questo vale per le fasce di prezzo basse (sotto i 15 euro) coperte soprattutto dalla Spagna ad esempio. I rosati di fascia media e alta (dai 15/20 euro in su, anche molto in su ormai) resistono e sono sempre più apprezzati, spogliatisi di scetticismi ormai anacronistici. Anzi, aggiungo ancora, la moda di questi anni non ha fatto altro che spronare i produttori a fare meglio.

Inoltre, ha portato alla necessità di strumenti come guide specializzate (vedi la 100 Best Italian Rosé) che a loro volta stimolano i produttori a fare sempre meglio per scalare le classifiche visto che, contemporaneamente, offrono all’appassionato uno strumento per orientarsi a favore della cultura intorno alla categoria che non potrà che aumentare la consapevolezza dei prodotti di qualità.

Per citare solo alcuni esempi e senza nemmeno andare troppo indietro nel tempo: il “Lagrein originale” – come testimonia Muri Gries a Bolzano – era proprio il Kretzer (il rosato) visti clima e cultura dei primi decenni della seconda metà del ‘900, è il rosso che nasce successivamente (e si doveva specificare in etichetta che fosse diverso: “Dunkel”, scuro in tedesco). Simile la storia di uno dei più celebri rosati italiani, il Cerasuolo d’Abruzzo DOC: il Montepulciano che non arrivava a maturazione in siti pedemontani e/o non si prestava a lunghe lavorazioni per le tradizioni di un tempo.

E ancora, il noto rosato pugliese, una cultura trasversale a denominazioni e province di tutta la regione ormai, si afferma già nel II dopoguerra e si presta, ad esempio, come scelta indispensabile per piatti di carne nelle stagioni più calde. Il Metodo Molmenti, sul Garda, ha origini nell’ ‘800 quando si pensa di produrre il “vino di una notte” (quindi a contatto con le bucce per poche ore a favore di un colore tenue).

Potemmo andare avanti con numerosi esempi anche più specifici: il ruolo di Cataldi Madonna, in Abruzzo, nel rompere i pregiudizi sul ‘vino rosa’ (centrale il relativo libro che offre una visione storica e filosofica per scoprire l’evoluzione di un vino dal passato nobile oggi rinato); vedi anche il successo di produttori illustri come Pojer&Sandri il cui lancio è legato proprio ad un ottimo rosato (Vin dei Molini) già negli anni ’70.

Probabilmente l’attenzione di media e social network troverà nuovi orientamenti in futuro, è così che funziona. I consumi continueranno a modificarsi come è sempre successo, nessun allarmismo, ma il rosato resterà. E vincerà chi in questi anni ha investito, come al solito, in qualità.

In sintesi: tale movimento ha spinto i produttori alla competizione e, quindi, a investire con seriamente; così come ha incentivato guide e operatori a puntare sulla categoria creando un circolo virtuoso che si autoalimenta così portando il rosato ad un livello superiore al di là dei riflettori.

Quindi, niente panico, leggiamo tra le righe e non i “titoloni”.